Il Messaggero | L’Italia Centrale e l’occasione da cogliere nel post sisma

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A cura di Luca Diotallevi per il Messaggero, 16/05/2023

C’è una questione, quella che riguarda l’Italia Centrale, che sembra ancora lontana da una soluzione. Gli indicatori economici e quelli sociali parlano sempre più chiaramente di una sofferenza che si aggrava, di una ripresa che non arriva, di un corridoio adriatico e di qualche “macchia virtuosa” sempre più piccola e rara che non bastano a bilanciare il declino diffuso in questa porzione di paese. Lo scenario demografico fotografa questa crisi in modo crudo ed altrettanto crudamente ne coglie le ombre che si proiettano su di un futuro non breve.


Chi abita e lavora nelle città del Centro Italia non solo sa leggere i dati, ma ogni giorno batte il volto contro i fenomeni che quei dati riflettono fin troppo educatamente. Un conto è leggere di un deficit di infrastutturazione, un altro è dover stanziare sempre più tempo per andare dal posto “A” al posto “B” invece che impiegarne sempre meno come ragionevolmente si sperava che sarebbe stato finalmente possibile. E intanto la banda larga super veloce non arriva mai.


Hai voglia ad insistere sul crescente valore geopolitico del quadrilatero Roma-Lucca-Pesaro-Pescara. Che torni ad essere denso e vitale serve a prolungare la Ue verso il Mediterraneo invece che farla arretrare alle Prealpi. Serve a far sponda verso l’Adriatico ed i Balcani, che ormai non sono più provincia marginale dell’Europa, ma linea del fronte tra società libere e minacce autocratiche.


Hai voglia a dire che la rete delle città medie dell’Italia Centrale ha un notevole potenziale non ancora sfruttato e costituisce un potenziale driver per una prassi di riforma delle istituzioni repubblicane (nelle quali le Amministrazioni Regionali siano services territoriali a geometria variabili e non più micro-stati dalle inevitabili macro-disfunzioni).


Se si insiste, magari si può ricevere qualche apprezzamento accademico, ma se il tema e la sua urgenza non sono raccolti da attori politici ed economici, l’apprezzamento accademico rischia di lasciare le cose esattamente come stanno, con l’aggiunta di quel retrogusto amaro caratteristico della intuizione che invece le stesse cose potrebbero o avrebbero potuto andare molto diversamente.


Linee ferroviarie veloci, porti connessi, aeroporti razionalizzati, autostrade digitali, rigenerazione urbana, ricerca ed alta formazione, reshoring industriale richiedono visione ampia, decisioni pronte ed investimenti cospicui e concentrati (pubblici e privati, materiali ed immateriali). E invece stiamo ancora qui a difendere con le unghie e con i denti una linea veloce Civitavecchia-Falconara (Roma-Ancona) che rischia l’ennesimo posticipo: come chiudere il rubinetto che porta acqua fresca in un territorio in secca.


È un alibi bell’e buono affermare che non si sa cosa in concreto si dovrebbe fare. Si sa, invece, e lo si è scritto in forma tecnica e in forma divulgativa. Il punto è un altro. La frammentazione fisica e istituzionale dell’area non offre immediatamente quella centrale strategica, quella “testa” capace di pensare – e soprattutto di ri-pensare – in modo sistemico gli interventi in un’area che è potenzialmente un sistema, ma che per larga parte non sa di esserlo o si comporta come se non lo fosse (in primis quando si tratta di amministrazioni pubbliche).


All’inizio di questa battaglia di idee a sostegno della “questione Italia Centrale” si era proposto non un ministero ad hoc, ma una autorità alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La suggestione non è stata raccolta. Ora si dà un’altra possibilità. Andrebbe valutata attentamente.


Il Governo ha da poco nominato un nuovo Commissario per la ricostruzione delle zone del Centro Italia colpite dal sisma (Guido Castelli). Questo mandato pone chi lo riceve in una posizione difficile, ma unica. La sua competenza territoriale non è circoscritta a singole regioni. L’obiettivo che gli è stato dato lo costringe a capire che rimettere i mattoni gli uni sugli altri è, allo stesso tempo, necessario e insufficiente, addirittura inutile. A che serve ricostruire Norcia, Arquata del Tronto o Amatrice, se le persone ne debbono fuggire come si fuggirebbe da un’isola tagliata fuori da tutte le rotte? A che serve occuparsi di Norcia, Arquata o Amatrice, se insieme non ritessi la trama di città medie e di Sistemi Locali del Lavoro dell’Italia Centrale?


A volte nelle crisi le cose si confondono, altre volte appaiono più chiare. A volte nelle crisi si molla e si lascia perdere, altre volte si prendono delle decisioni coraggiose. Può il ruolo di cui s’è appena detto diventare il punto da cui si ricostruisce una autocoscienza sistemica dell’Italia Centrale? Perché mai non lo potrebbe.


Certamente quel ruolo potrebbe anche favorire un uso sistemico e strategico dei fondi del Pnrr destinati a queste aree. Ricordiamolo ancora una volta: la posta in gioco non è solo locale, ma anche globale: è una posta in gioco di scala nazionale e continentale.

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